SCRITTI - GIUGNO 2004

PECORE NERE di Giovanni Pagnoncelli (ISA)

Pecore nere si nasce

Decidere, prendere e andare è stata la nostra formula. Una formula difesa con orgoglio senza sentirci in dovere di rendere conto a nessuno di ciò che avremmo fatto o non fatto durante le nostre vacanze pakistane. Proprio quando i riflettori erano puntati sul K2, gli alpinisti e i trekking noi abbiamo preso un'altra valle di cui si sapeva poco o niente. Soltanto che c'era tanto di nuovo da fare. Poco più di duemila euri, quaranta chili a testa compresa la ferraglia, venticinque portatori per sei alpinisti, tre vie nuove salite, un seimila inviolato e impatto zero. Questi i numeri e il riassunto di questa vacanza che ha dato risultati più che soddisfacenti. Anticipo la risposta ad una domanda che potrebbe sorgere spontanea. Cosa ci facevo insieme ai "big" sotto elencati? Foto e un'occasione presa al volo.

Paure e animo a terra di un neofita

"Il gioco è cominciato, non ci si può più tirare indietro lasciandosi sopraffare da paure e nostalgie. Sarebbe la disfatta dell'alpinista e di tutti i sogni che traboccano dai cassetti riempiti durante la lunga preparazione del viaggio e della spedizione. Le giustificazioni, quelle servono. Giustificare agli altri, a quelli che si lascia a casa e a quelli che non capiscono perché si scali una montagna e perché si debba andare così lontano per cercarne altre, come se le Alpi non bastassero. Ma soprattutto giustificare a se stessi sì tanto trambusto, soldi investiti, rinunce, rischi. Quando uno si ritrova, alla vigilia della partenza, in un bel giardino, con amici, vino e dolci a festeggiare, si pensa di essere preparati a tutto, anche ad avere la dose di pazienza necessaria per aspettare il momento giusto per salire una montagna. Senza pensare che sulle Alpi se non scali una montagna ne scali un'altra e se non scali del tutto vai al cinema e ti godi la famiglia e gli amici. Il pensiero di una sconfitta è lontano, improbabile, astratto, e tocca solo quelli degli ottomila."
Questo è uno dei pensieri che ho scritto su uno stralcio di carta il 25 giugno scorso. Uno dei pochissimi che avevamo a disposizione e che Luca mi aveva concesso. Per me erano momenti di grande sconforto; l'instabile e cattivo tempo perseguitava una regione che Luca diceva, dopo due esperienze alpinistiche effettuate poco lontane, non dovesse conoscere perturbazioni. E invece eccoci lì a guardare ossessionati il barometro continuare a dare pessimi segnali.
In quelle due settimane non ho mai misurato e vissuto la pazienza a tal punto. L'idea di tornare a casa, in Italia, il paese più bello del mondo, aveva mille occasioni di rimbalzare nella testa nelle lunghe giornate passate tra sacco a pelo e tenda mensa, senza nulla da leggere e da scrivere. Il motivo di tale parsimonia nelle valigie era stata la certezza che il tempo sarebbe stato sempre bello tanto da poter essere in attività o a riposo oltre che l'imperativo di ridurre al minimo il peso dei bagagli. Al diavolo i diciotto dollari imposti dalla British Airlines su ogni chilo eccedente il peso massimo consentito! Se dovessi tornare indietro mi porterei anche Risiko e Trivial! Mi tormentavo a pensare a tutti gli impegni che mi aspettavano a casa, mi ripetevo cosa ci facevo lì, che non sono abituato a tutti quei disagi; il nulla e l'ozio sono la mia morte.

Pecore nere

"La nostra è una spedizione spensierata", continua un altro pensiero, "se vogliamo un po' goliardica. Respiriamo un'aria d'alta quota un po' diversa da coloro che affollano il Baltoro - ci giungono notizie - al limite del sostenibile. Prima della partenza una giornalista ci ha definito le pecore nere in quanto abbiamo scelto una strada, a guardare gli altri, contro tendente e all'ombra della cronaca alpinistica. Non in ombra invece il versante su cui ci troviamo. Se tante sfumature di distinguono da quelli del K2, poca distanza, una trentina di chilometri e una cresta, ci separano. Il nostro è il versante più "solare" del Chogolisa Glacier. Gli altri, il Chogolisa e il Tasa, montagna quest'ultima che occupa la vista dalle nostre tende, li vedono da nord. La differenza è che al nostro cospetto abbiamo centinaia di pareti e decine di montagne inviolate, alcune senza nemmeno quota e nome, l'imbarazzo della scelta per ogni alpinista con sensibilità esplorativa. Proprio quello che cercavamo. Dopo i primi euforici quattro giorni di bel tempo in cui abbiamo effettuato due salite, tre con l'ascesa di un seimila dominante il campo base da parte di Maurizio ed Hervé, strappata al limite della sicurezza e del buon senso per via del cattivo tempo e del pericolo di slavine, il barometro si è definitivamente inabissato senza dare alcuna speranza di ripresa. Oggi, al tredicesimo giorno di sosta forzata, la situazione è la seguente. Ezio ha dovuto fare ritorno a casa dieci giorni fa per problemi familiari, Maurizio e Nancy hanno lasciato da quattro giorni, come da programma, il nostro campo base per dirigersi a quello del Broad Peak dove si sarebbero uniti ad un'altra spedizione per salire quell'ottomila. Siamo così da tempo rimasti in tre: io, Luca ed Hervè. Gli argomenti sono in via di esaurimento. Fortunatamente siamo partiti senza conoscerci! Non fa un gran freddo, siamo intorno allo zero ma l'umidità si fa pesante e ci obbliga ad indossare costantemente la giacca in piuma. Cominciamo a definire castrazione quella che è a tutti gli effetti una privazione totale di ogni piacere e passatempo. La nostra è una battaglia contro il tempo, questa volta contro la sua lentezza. Sono arrivato a stare nel sacco 13-14 ore al giorno, abbiamo sfiorato l'idea di giocare a battaglia navale sulla carta igienica, ci siamo ritrovati a correre attorno ad un masso ridendo come scemi in un inutile ed insensato girotondo. Passatempo invece più curioso è stato quello di andare a trovare quasi quotidianamente un abitante delle morene, una pernice che covava le uova in un nido improvvisato sotto un sasso. Ma è durato fino al giorno in cui, causa un predatore (i cuochi dicono sia il leopardo delle nevi), della pernice e delle uova non sono rimaste che qualche pagliuzza e penne. Hervè ha appena finito il libro e sta già dimostrando segni di squilibrio. Il morale ieri era basso ma oggi lo è ancora di più; come se al peggio non ci fosse mai fine. La carta su cui sto scrivendo, retro della cartina topografica concessami da Luca, sta per finire, la pazienza pure. Sto scrivendo sempre più piccolo e anche la biro soffre l'umidità. Scriverò le prossime righe, spero, da un computer al tavolo di una scrivania."

Ebbene così è. Sto parlando e scrivendo di tempi ormai lontani, pensieri superati e sopravvissuti soltanto grazie all'originale scritto a penna, come non mi capitava dall'esame di maturità. Due giorni dopo quel 25 giugno è arrivato il tempo buono, una probabile finestra di qualche giorno che abbiamo preso al volo senza esitare. Dopo esserci asciugati le ossa al sole per ore e aver preparato i materiali per una lunga scalata su roccia con materiale da bivacco, abbiamo risalito i quattro tiri di corda attrezzati precedentemente al brutto tempo. Da lì è iniziato il viaggio verso l'ignoto, in un mare di granito di cui conoscevamo soltanto il punto di arrivo. Con linee logiche di diedri, fessure, rampe e spigoli, un po' di fortuna ma tanto senso alpinistico dei due capocordata Luca ed Hervé, siamo giunti prima sulla spalla sulla quale avevamo previsto di bivaccare e, poi, in vetta al nostro picco che rappresenta una delle punte del grosso scudo che, a sua volta, è anticima del seimila conquistato da Maurizio ed Hervé. Una maestosa parete di settecento metri di dislivello che sulle Alpi potrebbe accostarsi alla nord-est del Pizzo Badile, una delle più famose, ma che in quell'ambiente risultava non solo una delle tante ma anche una piccola presenza rispetto ai vicini colossi. Alle ventuno del secondo giorno, dopo aver superato inaspettate difficoltà tecniche nell'ultima parte, quando pensavamo oramai di cavarcela facilmente, con venti corde doppie mettiamo piede a terra. Questa volta il morale è alle stelle, o meglio, lo sarà il giorno dopo esserci ripresi dalla grande fatica. I cuochi ci hanno accolto con manicaretti fatti nel limite dei pochi viveri rimasti e dei mezzi a disposizione.
Non abbiamo capito se la loro felicità dimostrata era da imputarsi al vederci o al pensiero di andarsene perché anch'essi logorati, pur essendo pagati, dall'attesa e dal far nulla. Fatto sta che Alì, il nostro fedele "servitore", se ne è tornato a saltoni a Hushe per chiamare i portatori in modo da permetterci di intraprendere il viaggio di ritorno. La grande giustificazione era finalmente arrivata. Nonostante Luca insistesse a dire che potevamo ritenerci fortunati e fieri di ciò che avevamo già inizialmente conquistato, mi sentivo mancare il grande obiettivo che giustificasse tutta quell'attesa. In conclusione, i risultati alpinistici ottenuti confermano lo spirito, i modi e le scelte che abbiamo intrapreso mettendo eventualmente in discussione quelle altrui.Da aggiungere in tutto questo anche la successiva impresa di Maurizio e Nancy che, in una settimana di cammino via Gondogoro (1), hanno raggiunto la spedizione vicentina di diabetici (2) ed hanno scalato e disceso il Broad Peak in una settimana facendo la pernacchia a spedizioni super organizzate e super sponsorizzate che non hanno avuto forse lo stesso intuito ma sicuramente la stessa tenacia, per prendere al volo due giorni di bel tempo tra tanti di brutto, sufficienti per l'assalto alla vetta. Se poi noi tre potevamo fregarcene di ciò che avveniva al di là del Tasa e solo la curiosità e il gran tempo a disposizione ci spingeva a chiedere qualche SMS informativo, Maurizio e Nancy hanno realmente respirato l'aria competitiva che avvolgeva gli ottomila. Un'aria intrisa di solidarietà e collaborazione zero, portatori d'alta quota, campi attrezzati, corde fisse e ossigeno ingiustificate; di saluti non scambiati e di tante riflessioni. Risultati a parte, il viaggio e l'aver vissuto con i locali 35 intensi giorni rappresentano per me una componente di estremo valore e di grandi ricordi. In un paese così incredibilmente diverso dal nostro nel territorio ma soprattutto nelle loro regole sociali, le abitudini di vita e i modi di sopravvivenza, povero ma che non ha bisogno di noi, dove non ho trovato gente infelice e disadattata, tanto meno stressata.

1. Colle che collega la Valle di Hushe al Baltoro divenuto un famoso punto di passaggio per trekking. In vicinanza del passo, gli stessi, hanno anche salito un'altra vetta inviolata e, per questo trasferimento verso l'ottomila, sono stati supportati da soli tre portatori
2. ADIQ

Salite effettuate
Peak 5300 m
Versante SW e spigolo W
Via nuova
800 m canale + 9 tiri roccia e misto
M.Giordani - L.Maspes - N.Paoletto, 11/6/2004
(H.Barmasse - E.Marlier - G.Pagnoncelli fino a 2 tiri dalla cima)

Cattedrale del Chogolisa
Pilastro Kekka (4500 m)
Prima ascensione
300 m (8 L) - max VI+/A1 - 1 spit di sosta
E.Marlier - L.Maspes - G.Pagnoncelli, 13/6/2004

Sheep Peak (6000 m c.)
Canale e versante Sud
Prima ascensione della cima
H.Barmasse - M.Giordani, 17/6/2004
Scudo del Chogolisa (5200 m c.)
Parete Sud
Prima ascensione - via "Luna Caprese"
1000 m (22 L) - max VIII-
aperta tutta in libera on sight - no spit
Stile alpino (1 bivacco in parete) dopo preparazione primi 4 tiri
H.Barmasse - L.Maspes - G.Pagnoncelli, 28-29/6/2004

Gli altri componenti della spedizione
Maurizio Giordani. Guida Alpina del Trentino, classe 1959, è stato leader della spedizione grazie alla sua infinita esperienza alpinistica e di viaggiatore. Grande alpinista solitario e sporadico himalaista, ha all'attivo l'apertura di parecchie decine di itinerari sulle Alpi e nel mondo, dal Karakorum alla Patagonia.

Luca Maspes "Rampikino". Guida Alpina della Lombardia, classe 1972, oramai un quasi cine-operatore e sicuramente grande apritore, alpinista e storico dell'alpinismo di professione. E' voluto tornare in Baltistan per la terza volta consolidando la sua etica di "andiamo, valutiamo e facciamo".

Ezio Marlier. Guida Alpina della Valle d'Aosta, classe , anch'egli grande apritore ma principalmente di flussi ghiacciati nella sua valle e nel Gruppo del M. Bianco. E' alla sua prima esperienza in spedizione; prima, lui spera, di una serie.

Hervé Barmasse. Guida Alpina della Valle d'Aosta, classe 1978, è giovane ma molto promettente sia come alpinista che come apritore. Era già stato in Himalaya per tentare il Cho Oyou e ha tutte le carte in regola per ripetere nuovi successi in quelle lande.

Nancy Paoletto. Classe 1969, compagna di Maurizio, lo segue fedelmente nelle sue scalate e nei suoi viaggi apprendendo velocemente e... tenendo il suo passo.

Giovanni Pagnoncelli ISA

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