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SETTIMANA ESTIVA 30 GIUGNO - 5 LUGLIO 2003

PROGRAMMA

LUNEDÌ 30 appuntamento in piazzale Foresto ore 8, sistemazione bagagli e partenza per le ore 8,30.
Arrivo a Carcoforo per le ore 11 circa, sistemazione per il soggiorno, pranzo in albergo.
Nel pomeriggio giro in paese e nei dintorni, cena, giochi a sorpresa.

MARTEDì ore 7 sveglia, colazione dalle 7,30 alle 8, ore 8,30 partenza per il Colle D'Egua (mt.2239). Rientro in albergo per la cena, cena, giochi a sorpresa.

MERCOLEDì come sopra, escursione al Colle della Bottigia (mt.2603), rientro in albergo, cena, giochi a sorpresa.

GIOVEDì ore 7,30 sveglia, colazione, ore 9,30 giochi in palestra di roccia, pomeriggio libero per bagno al fiume, partita a calcio ecc., cena …DOPOCENA A SORPRESA!!!

VENERDì come martedì, escursione al Rifugio Boffalora e al Corno della Busacca, cena, sera libera.

SABATO sveglia, colazione, preparazione bagagli per il rientro, ore 11 partenza, sosta a Rima per pranzo e visita al museo Walzer. Rientro a Varese Piazzale Foresto per le 17 - 17,30.

IL PROGRAMMA PUÒ SUBIRE CAMBIAMENTI IN CASO DI MALTEMPO

CARCOFORO

"Con tutta probabilità anche il piccolo Comune di Carcoforo era anticamente tedesco".
Già nel 1890 il Dott. Giordani di Alagna aveva cercato di dare una risposta a un quesito avvolto nell'incertezza.
"I suoi abitanti, le donne e la foggia speciale di vestire di queste, conservano un'impronta del tipo tedesco.
Il nome stesso sembra derivare da Kirchpof, Kirchofer". "Un sapore germanico" rivendicato come "indubbio" anche da Carlo Guido Mor, storico valsesiano.
Negli anni le ipotesi etimologiche si sono rincorse. Il linguista svizzero Marco Bauen ha individuato una radice diversa: "Xalxoowo" che a Rimella significa "fornace per la calce".
Uno spiraglio nella selva delle supposizioni è venuto da una pergamena del 1383 che riguarda l'affitto dell'Alpe Rima a cinque Walser di Pietre Gemelle.
Fra i confini dell'alpeggio si trova infatti l'alpe "Charchoffeni". Il toponimo non ha certo radici tedesche.
Ma la colonizzazione Walser degli alpeggi più alti della Val d'Egua - ossia il passaggio fra la forma dell'insediamento estiva a quella più stabile e annuale - è confermata chiaramente da una serie di documenti del quattrocento dai quali emerge che gli affitti erano di carattere "ereditario".
Un marchio inconfondibile dell'assegnazione ai Walser. Lo attestano in particolare alcune pergamene della Mensa vescovile di Novara e una testimonianza resa in un processo del 1420 da Giovanni Manetta, fondatore della colonia Walser di Carcoforo.
"Con i suoi trenta - quaranta fuochi in tutto - scrive Enrico Rizzi - in un angolo della Valsesia particolarmente soggetto ai rigori dell'inverno e alle distruzioni delle valanghe, Carcoforo subì più di altre colonie Walser l'impoverimento demografico, l'emigrazione, la pratica sempre più diffusa di matrimoni misti, fino a perdere la caratteristica più gelosa e viva della sua etnia: l'antica parlata tedesca".
Non solo le valanghe. Anche il fuoco ha cancellato la storia e la memoria.
Un incendio nel 1863 ha infatti azzerato le costruzioni più antiche che erano di stampo alagnese, retaggio dei primi abitanti.
Ma se ne sono andate anche carte pergamene che avrebbero potuto permettere una ricostruzione più completa delle vicende di questo paese.
Un piccolo gioiello a oltre i 1300 metri di quota, (1304) tenuto in vita anche d'inverno da poche decine di persone.


CURIOSITÀ


IL FRASSINO DI CARCOFORO

" AL Frascio dal vote " è un frassino centenario di quasi 300 anni che si trova a Carcoforo, un grazioso paesino montano della Val Sermenza, una valle laterale della Valsesia.
Il frassino si trova sul sentiero per andare all'alpe Pasion e al rifugio Buffalora.LA STORIAUn tempo questo frassino, durante la stagione invernale veniva usato dai nostri avi come deposito per il concime.
All'arrivo della primavera il letame veniva trasportato nelle "brente" fino ai prati che dovevano essere concimati.
…In piùl Frascio dal Vote ha una grande voragine proprio al centro e al suo interno stanno comodamente due bambini.
Il frassino visto da un certo punto del paese e con un po' di fantasia assomiglia ad una faccia buffa.
Il frassino è per gli abitanti di Carcoforo il simbolo della quiete e dell'armonia che sono ancora presenti nelle nostre vallate; lui ne è il silenzioso testimone.


ALCUNE POSSIBILI ESCURSIONI




COLLE DELLA BOTTIGIA

Partenza: Carcoforo
Dislivello totale: mt.1303
Difficoltà: escursionistico
Ci troviamo all'interno del Parco Naturale Alta Valsesia, caratterizzato da numerose specie animali, se siamo fortunali durante la salita possiamo ammirare, tra rododendri e mirtilli il gallo cedrone, essere sovrastati dall'aquila e accompagnati da marmotte e camosci, per non contare gli stambecchi.
L'itinerario inizialmente segue il fondovalle su strada sterrata in direzione di "Le Coste", (mt,1351), da qui si può seguire il sentiero 113 fino all'Alpe Massero, passando attraverso l'Alpe Chignolo e l'Alpe Fornetto, oppure prendere alla destra del bivio seguendo un sentiero che sale un ripido pendio.
Superate alcune baite si raggiunge l'ampia spianata dell'Alpe di Giovanchera Bella.
La zona è poco frequentata e ricca di flora e fauna, particolarmente interessante la struttura geomorfologia di origine glaciale.
Proseguendo, spostandosi verso destra si supera una scarpata rocciosa e tornando verso sinistra si giunge all'alpe Busacca del Badile (mt.1867), sempre in salita si giunge in breve all'Alpe Badile (mt.1988).
Poco oltre le baite si devia a sinistra seguendo tracce segnalate da tacche colorate, giungendo alla base di un ampio canalone che conduce alla Bocchetta del Badile, lo si risale fino alla forcella e si scende sull'altro versante andando a riprendere il sentiero 113 all'Alpe Massero (mt.2082).
Il sentiero si sviluppa da qui, su lastroni granitici, e prosegue fino a un ampio vallone, a volte ancora innevato fino al colle.


COLLE D'EGUA

Partenza: Carcoforo
Dislivello totale:mt.935
Difficoltà: escursionistico
Il sentiero segue tutto il versante destro orografico del torrente d'Egua, attraversando bei pratoni.
L'itinerario seguendo la mulattiera si supera la cappelletta delle Torbe e si prosegue in leggera salita attraverso un bel bosco di larici.
Superato il Rio Passone su un ponticello, si percorrono belle zone prative, passando a monte della Casera Bianca (mt.1523).
Poco oltre il Rio Ciletto, si raggiunge l'Alpe Piovale, (mt.1637) a monte della quale si trova il rifugio Boffalora del Cai di Magenta (mt.1637).
La mulattiera prosegue in leggera salita fino all'Alpe Egua (mt.1735), poi con un tratto più ripido raggiunge l'Alpe Sellette, (mt.1915).
Mantenendosi sempre sulla destra orografica il sentiero risale infine la testata del vallone fino al Colle d'Egua.
Prima della discesa, possibile divagazione nella vallata opposta (Val Mastellone) fino alla conca di Baranca.
In questo caso si segue il sentiero che descrive un semicerchio attorno alla dorsale settentrionale del Monte Cimone e che conduce all'Alpe Selle. (mt.1824).
A questo alpeggio è possibile rifocillarsi presso il ristoro gestito da un pastore.
La zona del Lago Baranca presenta un particolare interesse geografico, poiché le acue del vallone che una volta scendevano verso la Valle Anzasca confluendo nel torrente Olocchia, sono state "catturate" dal torrente Ma stellone e calano ora verso la Valsesia.
Dal Colle di Baranca, nei cui pressi è una cappelletta del 1679, si ripercorre il sentiero fino al Colle D'Egua, ridiscendendo a Carcoforo.


Il popolo delle alpi: una civiltà di frontiera

Dal 1200 al 1300 iniziarono le emigrazioni. Il loro non fu un esodo di massa, bensì di piccoli gruppi che, attraverso i più alti valichi alpini, raggiungevano e si stabilivano in zone ancora libere.
Quando il nuovo insediamento si era perfezionato, quando le terre dissodate davano i primi frutti, nuovi nuclei si aggiungevano ai primi coloni.
In questo modo con gradualità, ad ondate successive i Walser si diffusero in tutto l'arco alpino dalla Valle d'Aosta al Vorarlberg all'estremità occidentale dell'Austria.
Il clima era più caldo di oggi e le montagne più verdi che bianche. Dove si stendono i ghiacciai si passava sui sentieri, fra pascoli e rocce.
Ma attraversare le creste delle Alpi non doveva essere comunque una bella passeggiata, soprattutto quando la migrazione non prevedeva ritorno.
Eccoli, interi nuclei familiari, curvi sotto il peso di poveri fardelli, risalire dalle alte terre vallesane lungo le antiche mulattiere per di vallare sul versante meridionale alla ricerca di nuovi insediamenti, preziosi spazi vitali.
Nelle gerle i bambini più piccoli: cauta protezione dall'ingiuria delle bufere.
Nelle bisacce non portano le armi come si usava comunemente in quei secoli, e non solo.
La loro conquista avviene unicamente con gli attrezzi del lavoro. E i loro villaggi così defilati e lontani nelle testate delle valli, non ingelosiscono nessuno.
Ripercorrendo i sentieri dei Walser possiamo immaginare le piccole carovaniere alpine, migranti nelle remote epoche medievali.
Le vie lastricate non solo dalle "piode" ma dalla fatica, trasudano ancora del loro passaggio, consumate dai calzari della storia di questa gente che legittimamente ha diritto alla qualifica di "popolo delle Alpi".
Pastori, alpigiani, boscaioli. Non sono né usurpatori né colonizzatori di terre, ma dei civilizzatori che sanno utilizzare le risorse dei territori più avari e inospitali.
Lassù l'erba è rara e cortissima, ma piena di aromi dei fiori raffinati. Non ingrassa ma profuma il latte e ogni filo è un bene troppo prezioso per essere sprecato.
Come gli animali. Una mucca caduta in un burrone significa la fame e l'emigrazione. Per questo incidono nelle pareti dei passaggi aerei ma sicuri, e scalinate lunghe e solide.
La neve rimane mesi e l'estate è già confortevole se dura appena lo spazio di un mattino. Ma a fine stagione, granai e fienili sono colmi.
Il frumento non cresce e i ciliegi fruttificano solo a settembre, se la stagione non è stata uncinata dal clima rigido.
Invece la segale, grazie anche alle favorevoli condizioni meteorologiche del Medioevo, sopporta bene i rigori della montagna.
A Findelen, sopra Zermatt, è stata coltivata per secoli a 2.100 metri di quota.
Le casere degli alpeggi sono scarne ed essenziali. Senza la calce lasciano intravedere il cielo.
Talvolta cesellano i muri a secco con il letame per saldare i sassi e renderli più ospitali.
Il pane lo si cuoce nei forni comunitari una sola volta all'anno, quasi a sottolinearne pregio e valore.
I Walser sono soprattutto degli abilissimi costruttori di case, blindate contro le valanghe dal legno più coriaceo del cemento.
Dovevano essere forzatamente dei maestri in queste attività ergologiche, altrimenti non sarebbero riusciti a superare i grandi freddi delle alte quote: "le alpi dai geli infami" come scriveva terrificato Tacito. Sanno adattarsi egregiamente alla "mobilità" e alla flessibilità. Le esigenze del mercato sono severamente imposte dalla sopravvivenza. Il riciclaggio è continuo ed è giocoforza trasformarsi in uomini tuttofare. Così, secondo necessità, diventano minatori, commercianti, contrabbandieri, artigiani, pittori, someggiatori attraverso i valichi alpini e, con l'arrivo degli alpinisti, anche guide, portatori e maestri di sci. Con le loro migrazioni gli alpeggi diventano insediamenti stabili. Dove gli altri montanari riescono a stento a resistere per il breve arco dei mesi estivi, i Walser costruiscono i villaggi, la cui solidità e sicurezza permette di sostenere il peso dei lunghi isolamenti invernali. Sepolti da enormi cumuli di neve, non temono l'ambiente ma lo rispettano con rigore. Anche la più piccola imprudenza ecologica sarebbe fatale. Il pericolo maggiore era quello delle valanghe, che - secondo un detto popolare diffuso in tutte le valli alpine - cadono dove sono già cadute, dove non sono ancora cadute e dove non cadranno mai più. Un'imprevedibilità capricciosa e spesso fatale. L'esistenza è ripetitiva ma non monotona.
Il calendario si srotola scandito da norme tramandate oralmente scrupolosamente ossequiate. La pratica religiosa non è un optional. Il reticolo delle mulattiere permette un'osmosi sociale con le altre valli, soprattutto con la patria di origine che sta al di là di alte montagne.
Ma sono tempi di camminatori eccezionali. L'autonomia è di rigore, non l'autarchia. Il rapporto con la montagna più severa e minacciosa è quotidiano, senza soluzione di continuità. Devono inventare gli "antidoti" indispensabili per non soccombere.
Al di sopra dell'orizzonte della vegetazione cresce solo l'erba dei pascoli e talvolta come a Juf, i boschi sono lontani.
In mancanza di legname il conforto del calore invernale nei fornetti di pietra ollare è assicurato dal letame messo a essiccare davanti alle baite, un anno per l'altro.
Nonostante queste difficoltà le comunità Walser progredivano e si espandevano, anche perché la loro presenza era ben accetta dai signori feudali, proprietari delle terre di insediamento, perché percepivano, da quelle terre, affitti che diversamente non sarebbero mai riusciti ad ottenere. Oltre a questo i Walser erano esperti nell'uso delle armi fornendo al feudatario una sicura base di reclutamento per le proprie milizie. I flussi migratori dei Walser per quanto riguarda la Valle d'Aosta, la Valsesia, la Val d'Ossola, possono essere così riassunti: - attraverso il Passo del Gries scesero nell'alta valle del Toce
- dal Passo del Sempione scesero a Sempione Villaggio e Grondo
- attraverso il Passo del Monte Moro fondarono Macugnaga
- le colonie di Gressoney, Issime e Gabi, sarebbero state fondate da popolazioni provenienti dal Colle del Teodulo. Secondo altre versioni i Walser avrebbero attraversato il Colle del Lys che in quegli anni, a causa delle scarse condizioni di innevamento, era percorribile. Coll'estendersi dei ghiacciai il colle divenne impraticabile precludendo ogni comunicazione dei Walser con le terre di origine. Da qui nacque la leggenda della valle perduta: "das Verlorne thal" che doveva esistere al di la del Monte Rosa, valle ricca di estesi pascoli per il bestiame e di fitte foreste con molta selvaggina.
- da Gressoney attraverso il Col d'Olen o da Macugnaga attraverso il Passo del Turlo vennero fondate le colonie di Alagna, Riva Valdobbia, Rima, Rimella.
L'emigrazione Walser raggiunse la massima espansione negli anni 1400, 1500. Dopo quegli anni risultò sempre più difficile per i Walser mantenere integre la propria identità, cultura e tradizioni.
Di essi esistono molte testimonianze principalmente nello stile dei loro edifici e nei loro dialetti, però non sempre risulta facile ricostruirne con esattezza la storia,
storia che presenta ancora lati oscuri


Le case walser dell'Alta Valsesia

Il modello più "classico" delle antiche case walser in legno e pietra presenti nei comuni di Alagna Valsesia e di Riva Valdobbia è costituito da: - un "modulo" di base ("Fald") che regola l'interasse tra i pilastri che sorreggono il loggiato.
Il modulo è solitamente costituito da un quadrato ideale di circa 180 cm. di lato, costituito da tronchi di larice sovrapposti, che si innanza talvolta sino a formare un rettangolo nel piano destinato a fienile.

- un piano terra (o, più spesso, seminterrato), con pareti di blocchi di pietra, che comprendeva la stalla ("Godu"), la casera, la cucina ("Firhus", "Chuchi") e la parte abitativa diurna ("Stand").
Il calore del focolare, unitamente a quello degli animali della stalla, salivano attraverso le fenditure dell'assito sino al primo piano, assicurando alla "zona notte" il necessario tepore.
Il fieno, custodito al di sopra del primo piano, garantiva anche la necessaria "coibentazione".
Nella casa non c'erano camini veri e propri e il fumo prodotto dal focolare fuoriusciva attraverso apposite fenditure esistenti nelle pietre della muratura;
- un primo piano, abitativo, formato da tronchi squadrati, abilmente sovrapposti e incastrati fra loro ("Blockbau"),

- che creano frontalmente 3 o più "moduli" base e, lateralmente, 4 o più altri "moduli".

Il tutto circondato da un ampio loggiato (peristilio o "Schopf") chiuso da "pertiche" orizzontali fra loro ordinatamente distanziate e fissate ad incastro nei piedritti di legno ("Stud") posti in modo obliquo rispetto alla verticalità della struttura centrale. I locali abitativi del primo piano non erano fra loro intercomunicanti, ma avevano ciascuno un accesso indipendente sul loggiato.
Per distinguere e catalogare meglio - sotto un profilo architettonico - le costruzioni oggi rimaste, si usa una formula simile a quella adottata per i templi dell'antica Grecia; ad esempio, "1+4+1 al fronte" e "1+6+1 al fianco", indicano la presenza di 4 moduli base nel fronte della casa, e 6 lateralmente; il tutto circondato sui quattro lati dal loggiato;

- un secondo piano, costruito con altri tronchi sovrapposti e incastrati fra loro, destinato a fienile ("Stodal"), con un piccolo vano per la conservazione delle forme di pane, del formaggio e della carne secca ("Spicher").
I tronchi utilizzati per il fienile non venivano squadrati con la stessa cura di quelli posti al piano inferiore, e le fessure rimaste contribuivano anch'esse ad arieggiare il locale;

- la disposizione obliqua dei piedritti aveva la specifica funzione di areare la fienagione (o la segale) posta ad essiccare sulle "pertiche".
Questa caratteristica, tipica delle case walser dell'Alta Valsesia, era dettata dalle particolari condizioni ambientali della zona, scarsamente assolata e poco esposta ai venti secchi;

- la copertura della casa era costituita da pesanti lastre di pietra schistosa ("piode" o "Blatte") posate con una particolare cura e che creavano - nell'insieme del villaggio - un parallelismo perfetto dei tetti. Si calcola che la travatura del tetto fosse stata concepita per sopportare agevolmente carichi (lastre di pietra e cumuli di neve) pari a una tonnellata per metro quadrato.
In questa immagine si può notare il perfetto parallelismo dei tetti delle antiche abitazioni walser, a dimostrazione di una intelligente disposizione delle varie case rispetto alla "cattura" della luce e dei raggi solari.
Questo tipo di costruzione rispondeva in modo molto razionale anche alle esigenze di un clima particolarmente rigido durante i lunghi mesi invernali, e la stessa collocazione delle varie case nel villaggio (tetti che quasi si toccavano fra loro, stretti vicoli di passaggio, esposizione uniforme delle facciate per beneficiare del massimo insolamento, ecc.) costituiva una sorta di baluardo di difesa contro le intemperie.
La presenza di queste travi ricurve aveva anche la funzione di facilitare il passaggio delle persone e degli animali negli stretti vicoli del villaggio
Bibliografia di riferimento:
Walser - il fascino, il mistero.
Di Teresio Valsesia e Franco Restelli
Macchione editore

Andar per sentieri in Piemonte.
Lorenzo Bersezio - Piero Tirone
Istituto geografico de agostini





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