Negli
ultimi anni, il mese di Luglio è stato, meteorologicamente, bello, stabile
e abbastanza mite, garantendo la certezza di un’ascensione con il sole.
Al contrario del mese di Agosto, piovoso e con poche finestre di bel tempo.
Tuttavia, è sempre possibile l’eccezione che conferma la regola.
E il 2009 è stato uno di questi casi: un inverno regolare con abbondanti
nevicate, un aprile piovoso, un luglio altalenante, un agosto che si mostrerà
bello, caldo e stabile.
Quindi, che tempo aspettarsi per la gita più attesa nel programma escursionistico
del CAI?
La metà designata è la Piramide Vincent, un 4000 nel gruppo del
Rosa tecnicamente facile, fatto salvo lo sforzo di confrontarsi con la rarefazione
dell’aria e l’attenzione da porre ogni qualvolta ci si approccia
ai ghiacciai. I due rifugi sul ghiacciaio del Gastelet, il celeberrimo Gnifetti,
sempre affollato, e il Mantova, ingrandito e molto confortevole, garantiscono
una buona sistemazione per la notte. L’avvicinamento ai rifugi, da quando
l’ormai datata funivia della Punta Indren è stata messa a riposo
e sino a quando non sarà ultimata la nuovissima Funifor dal Passo Salati,
non è più un proforma e anche il primo giorno, che prevede, una
volta raggiunto il Passo Salati da Alagna con le funivie, la traversata dello
Stralhorn con i suoi canaponi, la risalita alla Indren, l’attraversamento
dell’omonimo ghiacciaio e le roccette prima del Gastelet, diventa una
interessante e piacevole escursione sul filo dei 3000 metri. Sempre che la meteo
sia stabile.
In realtà, la settimana precedente la gita, le temperature si sono abbassate
notevolmente sotto la media stagionale, con venti forti e perturbazioni nevose
su tutto l’arco alpino. Purtroppo, proprio a causa del cattivo tempo,
in quella settimana tre alpinisti francesi, imboccando un canale di discesa
sbagliato, sono periti sulla normale al Castore.
La meteo prevedeva una finestra di bel tempo proprio per il fine settimana designato,
in prevalenza a partire da sabato pomeriggio. Il che significa, per l’alpinista
affamato di 4000, variabile il sabato e bello la domenica, con neve dura portante.
Le condizioni ottimali.
Alle 9.30, l’autobus lascia davanti alla funivia di Alagna 35 ardimentosi.
Molti sono al primo 4000, un po’ reverenziali, tesi, impazienti di iniziare
questa nuova esperienza. Alla cassa, ci dicono che al Passo Salati c’è
bufera e che la funivia potrebbe temporaneamente chiudere. “Certo”
pensiamo tutti “è la coda della perturbazione. Tanto, oggi pomeriggio
cambia…”. Anche al Caffè del Passo Salati ci ricordano che
c’è bufera. “Si, si, lo sappiamo, ma deve cambiare”.
Non facciamo a tempo ad uscire dalla stazione di arrivo della funivia, che veniamo
ricacciati dentro da folate di vento gelido, accompagnate da infarinate di neve
fresca. Il cielo è plumbeo. Forse la coda è un po’ più
lunga del previsto. Il dubbio si insinua. “Speriamo che cambi”.
L’abbigliamento muta in un batter d’occhio, compaiono guanti, cappellini,
pile, duvet. E si parte. Le roccette sono gelide e ricoperte da un velo di vetrato.
Prima dei canaponi che agevolano la discesa sotto lo Stralhorn, Gianni, il capo
gita, consiglia via radio di calzare i ramponi, c’è molto ghiaccio
sulle rocce. Non li toglieremo più sino all’arrivo al rifugio.
Con prudenza e attenzione tutti affrontano i tratti più delicati dell’itinerario.
Così, alle 12.30 ci raduniamo alla vecchia stazione di arrivo della funivia
di Punta Indren e proseguiamo in fila indiana sul Ghiacciaio di Indren, sferzati
dal vento gelido e avvolti dal turbinio della neve. C’è un qualcosa
di epico in tutto ciò e anche una così avversa meteo ha il suo
fascino. Con la massima attenzione affrontiamo le ben conosciute roccette e
siamo al Gastelet, con i Rifugi Gnifetti e Mantova ormai in vista: il vento
non ci abbandona e appena siamo allo scoperto, la sua forza è tale che
ci fa barcollare. Tuttavia il sole comincia a fare capolino: forse la coda del
maltempo sta veramente arrivando alla fine. Il Rifugio Mantova è stato
dotato da alcuni anni di un nuovo salone, caldo e confortevole, che ha reso
questa costruzione decisamente più piacevole. Un solo, piccolo ma grosso
problema: le toilette sono poste all’esterno dello stabile, per raggiungerle
bisogna infagottarsi. E poi, non sono molto capienti e l’acqua scarseggia….
Siamo tutti infreddoliti e una buona minestra è l’unica cosa che
desideriamo.
Inaspettatamente, il sereno torna rapido, cala il vento, le vette circostanti
si prestano alla nostra meraviglia: il Bianco, il Castore, il Naso del Lyskamm,
la Giordani e dietro, la nostra meta: la Piramide Vincent. Il pomeriggio, un
po’ per tutti, trascorre veloce, nell’attesa della cena e di una
notte che si vorrebbe passasse il più celermente possibile. Chi dormicchia,
chi legge, chi gioca a carte. Qualcuno accusa un leggero mal di testa per la
quota; preoccupato, viene istruito da chi di mal di testa ne ha già sopportati.
Il tramonto sul Monte Bianco è uno di quegli spettacoli che ogni escursionista
e alpinista vorrebbe annoverare nel proprio libro dei ricordi. Le sfumature
rossastre del cielo contrastano con le rocce scure del massiccio, mentre una
curiosa nube allungata sembra fumo sospinto dal vento fuoriuscente dalla vetta.
Nel corso della notte il vento sibila ancora forte. L’impazienza, manco
a dirlo, è per la meteo: sarà bello, potremo arrivare in vetta
e godere del panorama? L’attesa si consuma alle 4.30, quando le sveglie
degli orologi e dei cellulari cominciano a trillare. La testa è un po’
confusa, pesante. Qualcuno ha ancora mal di testa, qualcun altro nausea. Sono
attimi di indecisione, di smarrimento. Poi si guarda fuori: “Si, ci sono
le stelle, è sereno!” e siamo già belli carichi. Ma guardando
a nord, là dove c’è la nostra vetta, le nubi tappezzano
ancora il cielo. Però c’è vento, il barometro si è
mantenuto costante dalla sera prima, quindi c’è speranza. Colazione
veloce e siamo sul terrazzo del rifugio a preparare le cordate. E’ uno
sferragliare di ramponi, picche e moschettoni, di fasci di luce di frontali
che si incrociano e corde che si aggrovigliano o si incastrano tra nodi a palla
e prusik. Alle 5.45 siamo già sul ghiacciaio. La consistenza della neve
è perfetta, compatta. I ramponi prendono bene e i passi sono sicuri.
I movimenti sono lenti, il corpo deve carburare, il respiro regolarizzare. Fa
freddo, veramente freddo e il vento lo acuisce. Lentamente, le cordate si allungano
e si confondono con quelle degli altri gruppi. Ognuna segue un suo ritmo, tranne
la mia che essendo quella di chiusura, deve adattarsi agli altri: più
tardi, i miei compagni avranno giustamente da lamentarsi per le continue soste,
ma non posso farci granché: è lo scotto di essere vice-capogita!
Superato il primo tratto ripido, ci troviamo con gli alpinisti che hanno pernottato
alla Gnifetti: e lì, le cordate diventano una fiumana di gente. E’
la caratteristica meno alpina di questo versante del Gruppo del Rosa. Si prosegue
all’ombra dei seracchi della parete ovest della Piramide Vincent, il sole
non può fare ancora capolino: ma il cielo turchese sempre più
terso ci galvanizza. Il secondo obiettivo di ogni gita, godere del paesaggio,
non è più in discussione. Resta il primo obiettivo, quello principale,
raggiungere la vetta. La temperatura è ancora molto fredda, sicuramente
qualche grado sotto lo zero: qualcuno accusa freddo ai piedi, altri alle dita.
Ma tutti sono decisi a proseguire e a non lasciarsi sfuggire il 4000. Arrivati
nei pressi del plateau che porta al Passo Vincent, laddove le strade per la
Capanna Margherita, per la Piramide e il Balmerhorn si dividono, finalmente
veniamo invasi dal calore del sole: ed è già uno spettacolo. A
sinistra, il triangolo perfetto del Lyskam orientale, il Castore, là
in fondo in Bianco. E sopra di noi, controsole, la lunga colonna di alpinisti
che si approssima alla cima desiderata. La fatica di camminare sul filo dei
4000 è palpabile, il cuore è un tambureggiare di battiti, il respiro
affannoso, le gambe dure e pesanti. Resta solo la volontà e il desiderio
di portare a compimento la propria ascesa. Ancora una mezz’oretta. Già
le prime cordate lasciano la vetta e su altra traccia cominciano ad avviarsi
verso il Balmerhorn, al Cristo delle Vette. Ecco il terzo obiettivo: raggiungere
la vetta di due quattromila riconosciuti nel corso della stessa gita. Non è
un obiettivo difficile, le cime sono l’una dirimpetto l’altra e
quindi è quasi un dovere raggiungerle entrambe. Gianni, via radio, con
il suo proverbiale “….allora, ci muoviamo…” ci esorta
a raggiungere la vetta. Ancora un piccolo traverso ed il terreno spiana: l’insistente
vociare ci annuncia la vetta, un largo plateau che accoglie comodamente tutti
gli alpinisti. Abbracci, strette di mano, congratulazioni. Lo sguardo si perde
a 360 gradi. La fatica si trasforma nella soddisfazione di aver raggiunto la
vetta, di aver vinto i propri timori di non farcela, di aver trovato le risorse
per perseguire l’obiettivo voluto. E un senso di svuotamento e di serenità;
è sempre così, ogni volta. Ed è bello riprovare questo
sentimento. Pochi attimi, qualche fotografia da mostrare orgogliosi e si scende
veloci alla volta della nuova vetta. Alla fine, l’unico tratto veramente
tecnico: qualche fittone infisso nella roccia agevola l’ascesa al Balmerhorn
dove è stata collocata la Statua del Cristo delle Vette, recentemente
restaurata. Tante targhe commemorative, a ricordo di tutti i caduti della montagna.
Un minuto di raccoglimento e anche gli ultimi arrivati scendono per ricongiungersi
al gruppo e proseguire di nuovo verso valle. Durante la discesa, abbiamo modo
di guardarci intorno, restare estasiati dall’ambiente e ammutoliti nel
vedere quattro alpinisti impegnati lungo la cresta est del Lyskamm. Sono solo
le 10, ma è già tardi. Con passo deciso ripercorriamo la traccia
di salita e poco dopo le 11.30 tutte le cordate sono di ritorno al Mantova.
Una bella birra suggella la conclusione della parte alpinistica. Guardiamo sospirando
la stazione di arrivo in costruzione della nuova funivia della Indren “…se
fosse già in funzione…”. Ma tant’è, dobbiamo
ripercorrere ancora i canaponi dello Stralhorn ed arrivare entro le 14 al Passo
Salati, per prendere al volo la funivia che ci riporterà orgogliosi ad
Alagna. Questa volta accompagnati dal caldo abbraccio dei raggi del sole.