ITINERARI ALPINISMO - TERRENO D'AVVENTURA: ROCCIA (clicca sulle foto per ingrandirle)

Itinerario percorso da Giovanni Pagnoncelli e Fabrizio Fabio, 1-2 Agosto 2004

Massiccio del Monte Rosa - Cresta SE alla Cima Jazzi. Ricordando Gino Buscaini

In una stagione come l'estate 2004, tornata alla normalità con una "giusta" alternanza di giornate belle e brutte, per poter fare una salita in alta montagna bisognava stare molto attenti all'evoluzione delle perturbazioni, curando in particolare l'anticiclone atlantico che molti di noi alpinisti chiamano il "Sig. Azzorre".

Quando questo curioso personaggio inizia a far capolino sul versante Ovest della catena alpina a tarda primavera, chi vuole scalare in quota deve controllare quasi ogni giorno le mappe meteo, per tentare di capire per quanto tempo giocherà a nascondino tra una massiccio e l'altro e quando deciderà di farci visita in modo permanente.

Per salite primaverili ed autunnali, definite "d'allenamento", il socio di cordata molte volte non è lo stesso, anzi spesso ci si muove in gruppo perchè si pensa quasi solo al puro divertimento, l'ambiente preferito è la falesia, dove la variabile meteo crea pochi incovenienti e le "condizioni" della montagna non sono mai (o quasi) determinanti. Per le salite in alta montagna invece, l'affiatamento e la conoscenza sono importanti per la scelta della via e la fiducia reciproca, che condizionano la velocità e la sicurezza con cui si procede.

Negli ultimi anni ho trovato un buon feeling con diversi amici, quasi tutti come me istruttori della nostra Scuola di Alpinismo, ma la persona con cui mi trovo più a mio agio è Giovanni detto Pagno.

A lui devo molte delle cose che conosco e con lui ho effettuato praticamente tutte le salite in alta montagna. La fiducia è totale, le manovre non sono mai messe in discussione e la scelta della via si risolve sempre in pochi minuti.

Durante l'estate scorsa volevamo vivere un'avventura che ci portasse in alta quota, sopra o almeno vicino ai 4.000 metri, questo perchè l'aria rarefatta crea una certa dipendenza, non so spiegare il motivo, ma una volta che l'hai respirata per un po' di volte non vedi l'ora di inalarla nuovamente.

Alla fine di Luglio i giorni erano propizi ed il "Sig. Azzorre" ci aveva mandato una raccomandata urgente dicendoci che si sarebbe fermato qualche giorno da noi, ma non sapeva per quanto, quindi urgeva una decisione veloce e ci siamo trovati di fronte al solito grande dilemma: via rinomata e di grande fama o terreno d'avventura?

La via famosa era la parete nord del Fletschhorn, uno scivolo di ghiaccio di circa 750 metri, percorso dalla via dei Viennesi con pendenze da 50 a 60 gradi e un breve tratto vicino ai 70; il terreno d'avventura era la Cresta Sud-Est della Cima Jazzi.

La voglia di scalare su ghiaccio era forte, ma lo zero termico molto alto ci faceva venire seri dubbi sulle condizioni del lenzuolo bianco steso sul Fletschhorn e l'idea di percorrere una via che probabilmente conta meno ripetizioni della normale al Coghori (K2) era altrettanto allettante.
Se la via che porta in cima alla Jazzi non l'avesse firmata Gino Buscaini non avremmo avuto dubbi, ma il desiderio di porgergli un tributo era troppo grande.

Non ho avuto la fortuna di conoscere di persona Gino, se non durante una serata culturale organizzata dalla nostra sezione alla fine della quale ho potuto avere un'amichevole, ma pur sempre formale stretta di mano. Di lui ho letto molto e nello zaino c'è quasi sempre uno dei suoi volumi. Già perchè Gino oltre ad essere un grande alpinista varesino e componente della nostra Scuola fu anche, permettetemi, l'inventore delle guide alpinistiche.

Durante la sua carriera spesso percorse vie nuove: come riusciva a individuare la via giusta?
Allo stesso modo di come un'artista da forma alle sue emozioni? Forse...
...ma non aveva davanti un foglio bianco bensì una montagna che pretendeva (e pretende anche ai ripetitori) le giuste condizioni ambientali e la capacità dell'alpinista di entrare in relazione con essa e di ascoltarla.

Gino riusciva ad interpretare al meglio le voci della montagna, così nel maggio del 1952, partì da solo alla volta della Cima di Jazzi, una montagna che domina l'alta valle Anzasca, costeggiò il torrente che bagna Macugnaga fino alla fronte del ghiacciaio del Belvedere a circa 2000 metri. Da qui s'inerpicò per la cresta sud-est, indovinando la via giusta tra canali erbosi, risalti di gneiss e creste di ghiaccio per concludere con ripidi salti rocciosi che lo portarono alla croce di vetta, non lontana dai 4000 metri.
Effettuando una lunga cavalcata di due chilometri e mezzo su duemila metri di dislivello portò a termine per primo una salita emozionante e con numerosi passaggi tecnici ma destinata a rimanere poco ripetuta.

Sono molto legato a Macugnaga ed alle sue pareti per la sua bellezza, la sua storia ed il legame che questo piccolo paese ha con gli alpinisti di Varese: non a caso la Est del Rosa è chiamata anche la Parete dei Varesini.
Dopo una corsa per prendere al volo l'ultima seggiovia per il Belvedere, eccoci alla base della cresta, su prati sempre più ripidi, guadagnare tempo sulla sera che avanza.
Dopo tre ore di salita ed un terzo di via sotto ai piedi troviamo una cengia che sembra buona per fermarsi. Tra il freddo, l'umidità, la pendenza che pur imbragati ci fa scivolare e l'emozione di dormire davanti alla Est, primi da chissà quanti anni, non si può dire che abbiamo dormito un granché. Finalmente ecco le prime luci dell'alba e lo spettacolo della Est. Altro che cinema! Viene quasi da piangere.

Dopo una veloce colazione i metri di roccia riprendono a susseguirsi uno dietro l'altro, non incontriamo mai passaggi estremi, ma dei pochi chiodi descritti nella relazione neanche l'ombra; eppure cerchiamo di immaginarci come si muovesse Gino, tentiamo di imitare il suo istinto per superare i risalti tra vaghi punti di riferimento ed abbiamo la certezza di toccare le stesse rocce, di calpestare le stesse creste nevose, forse provando anche le stesse indescrivibili sensazioni dell'illustre maestro.

Ad un tratto la roccia finisce, un pendio di neve ci si para davanti e la croce di vetta sembra vicinissima, l'altimetro impietoso ci dice che siamo a 3340 metri, ma la cima è lontana ancora circa 500!! Rileggiamo la relazione, le ultime due righe ci dicono: "…e dalla spalla nevosa, 3347 metri, si segue fino dove si unisce con la cresta di frontiera S, a circa 300m dalla cima. Per quest'ultimo tratto di roccia e neve si arriva in vetta".
Guardo davanti a me ed esclamo: "ma Gino… da qui alla vetta ci vorranno ancora almeno due ore! Qualche riga in più potevi anche scriverla, porcaccia miseria…".

Proviamo a salire senza mettere i ramponi, ma la neve dura e l'inclinazione ci consigliano di montarli anche solo per fare circa 50 metri.
Sulla cima del risalto li riponiamo nello zaino; mentre Pagno si medica una piccola escoriazione (con annessa contusione) ad una tibia dovuta ad un involontario urto contro uno spuntone, osservo il percorso che ci manca: in effetti una relazione maggiormente dettagliata non ci aiuterebbe molto di più, il percorso è evidente ed esaltante allo stesso tempo, la roccia è buona e la salita riprende ad un buon ritmo.
E' difficile raccontare le emozioni che si vivono in una salita del genere: le immagini sulla pellicola e nella testa di una magnifica giornata e di una lanosa corda rossa che si snoda tra spuntoni e diedri creano quel piacevole ricordo, in cui è bello gongolarsi, di una delle più esaltanti avventure sulle nostre Alpi.
A poca distanza dalla cima mi accorgo che sopra di noi qualcosa si muove: un camoscio ci guarda incredulo, scattiamo qualche foto ed in silenzio pian piano ci avviciniamo.
E' giovane e non ha mai visto due ominidi invadere il suo terreno di gioco, per questo non è spaventato ma tranquillo osserva i nostri movimenti; i suoi grandi occhi scuri e curiosi sembrano volerci comunicare qualcosa, con leggeri movimenti del capo ci indica i passaggi che lui conosce a memoria.
A pochi metri dalla croce si allontana dalla via e sorridendo ci dice che i sui avi gli raccontarono che su quello stesso terrazzino giocarono con un solitario e cortese Gino, cui chiesero di non lasciare traccia del suo passaggio se non un breve ma dettagliato brano su una guida alpinisitica.

Brizio


NOTE TECNICHE:
Cima Jazzi, 3804 metri.
Cresta Sud-Est integrale.
Sviluppo: 2500m. Dislivello: 1800m.
Difficoltà: D, IV+, V, 9 ore dall'attacco.
Prima salita: Gino Buscaini, da solo, 16-17 Maggio 1952.


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